Vercellese misterioso

fra monaci posseduti dal demonio, centrali nucleari e manicomi


Come in “Lo Hobbit un viaggio inaspettato” ci mettiamo in marcia di buona mattina alla ricerca di un tesoro. Il “custode” per modo di dire non è Smigol, bensì la provincia di Vercelli, che per la maggior parte delle persone è famosa per il riso, ma non lascia di certo gli indagatori del mistero a mani vuote. La prima tappa è alla ricerca di un qualcosa nascosto fra i boschi della provincia, circondato da risaie, campi e aziende agricole, poco distante dal principato di Lucedio, una ex abbazia di epoca medievale dedita oggi alla vendita di prodotti del territorio.

Ci troviamo a Trino Vercellese, vi ricorda niente il nome di questo paese? Ci torneremo più tardi, prima concentriamoci sulla costruzione che si intravvede nel bel mezzo del bosco. Parcheggiamo a pochi chilometri dall’abbazia, vicino a un cimitero, meno spettrale di quello che, anche in questo caso, incontreremo successivamente nel corso della nostra storia. Proprio da qui parte un sentiero che procede per qualche centinaia di metri costeggiato da alberi rigogliosi, fino a veder spuntare, come se ci trovassimo in una spedizione amazzonica, una costruzione abbandonata coperta da una fitta coltre di vegetazione. 

Non si tratta di una piramide, ma del santuario della Madonna delle Vigne, oramai ridotto a uno spettro. La chiesa è a pianta ottagonale, forma geometrica non molto frequente da ritrovare in costruzioni religiose, ne abbiamo parlato anche nel post del monastero di Torba a proposito delle 8 monache e della simbologia di questo numero, qui ci basti accennare una frase di Sant’Ambrogio sull'argomento: “…era giusto che l’aula del Sacro Battistero avesse otto lati, perché ai popoli venne concessa la vera salvezza quando, all’alba dell’ottavo giorno, Cristo risorse dalla morte”. 

Varchiamo la soglia d' ingresso dell'ormai decadente edificio e ammiriamo quel che rimane al suo interno. Capiamo subito che forse sarebbe stato meglio portare con noi un’esorcista, in quanto la fama di luogo demoniaco il posto non se l’era conquistata senza fondamento.   

Prima di darvi qualche cenno storico sul luogo bisogna tracciare dei punti fermi sui quali poco fa vi avevo anticipato che saremmo tornati. Principato di Lucedio, Santuario della Madonna delle Vigne, spartito del diavolo e cimitero di Darola. Ora che abbiamo elencato tutte le figure di questa storia non resta che raccontarla per filo e per segno, anche se qui servirebbe la maestria narrativa di Federico Buffa, o lo stile di Pinketts, o ancora farlo come il servizio che la trasmissione Mistero effettuò nella zona a cura di Marco Berry. L’abbazia fu fondata nel 1123 da monaci cistercensi, un ordine monastico fondato in Francia che ebbe un ruolo di primo piano durante le crociate. Proprio dalla terra transalpina provenivano gli abati che diedero vita a Santa Maria di Lucedio. Secondo dei presunti documenti del XVII secolo, i religiosi vissero in preghiera e in comunione con il bene fino a che un giorno un’oscura figura turbò la quiete del luogo. Precisamente nel 1684 la leggenda narra che alcuni loschi personaggi evocarono il demonio in un vicino cimitero della zona, quello di Darola. Lucifero sfuggì al controllo del proprio evocatore e giunse ben presto a creare scompiglio nel convento, impossessandosi dei frati che, in balia del male, presero a compiere messe nere, riti satanici, stupri nei confronti delle novizie e le più svariate atrocità. La chiesa della Madonna delle Vigne giace oggi in stato di abbandono a causa di quei presunti atti violenti e satanici compiuti dai monaci su queste terre, cui il Papa in persona decise di porre fine nel 1784 scomunicando sia la chiesa che la vicina abbazia e condannando per sempre questi luoghi alla dimenticanza. I maligni (e non il maligno in questo caso) affermano che la scusa di satanismo ed eresia possa essere stata utilizzata all’uopo di allontanare dalla zona i monaci nel frattempo divenuti “scomodi” perché più interessati alla pecunia rispetto alla spiritualità diciamo. Più che una scomunica a quanto pare si trattò di una confisca. I monaci sembra che non abbiano mai visto di buon occhio la decisione di vedersi privati delle proprie terre d’origine, si racconta infatti che nelle notti di nebbia si riesca a scorgere delle figure incappucciate, fantasmi che vagano senza pace nei pressi del monastero. Ritornando alla nostra storia, un'esorcista decise di ergersi a paladino e grazie ad un rituale di massa riportò alla normalità i malcapitati, riuscendo anche a segregare il maligno in una cripta nei sotterranei dell’abbazia sorvegliato dalle mummie di alcuni frati precedentemente deceduti a causa della possessione demoniaca. Come testimonianza di questi fatti vi sarebbe nella Sala Capitolare una delle quattro colonne perennemente umida, quasi fosse piangente, a causa di tutto il dolore e la malvagità che si è consumata in un luogo sacro come questo. Fin qui il mito, la razionalità però ci porta a spiegare il fenomeno con una roccia particolarmente porosa molto suscettibile all’umidità del terreno. Tale particolarità si ricollega anche ad un’altra diceria che vede passare sotto il complesso un fiume sotterraneo, affiancato nel suo percorso da tunnel con ramificazioni che porterebbero a centinaia di chilometri di distanza da Lucedio. Successivamente un monaco sfuggito miracolosamente alla maledizione di Lucifero decise di comporre una musica dai poteri sovrannaturali, capaci d'imprigionare per l'eternità il maligno e di farlo tornare nel posto che da sempre gli compete: il regno degli inferi. A testimonianza di ciò un affresco su una facciata interna della chiesetta di Madonna delle Vigne raffigura un misterioso spartito, scoperto nel 1999, che sottoposto all’analisi degli esperti di musica ha evidenziato delle sconvolgenti peculiarità. Lo “spartito del diavolo”, così rinominato, è palindromo (cioè leggibile da entrambi i versi), composto da tre righe e con i primi tre accordi che fanno pensare alle note conclusive di un brano. Come anticipato prima, la leggenda afferma che il monaco suonando la melodia nella sequenza corretta sia riuscito a rafforzare il sigillo che per tutto questo tempo ha confinato il diavolo nei sotterranei dell’abbazia. Ma con un ammonimento per le generazioni a venire, suonando lo spartito dal basso verso l’alto e da destra verso sinistra, cioè al contrario, si sarebbe rotto l'incantesimo che intrappolerebbe il demonio, che a quel punto si troverebbe libero di manifestarsi al proprio evocatore. Stranamente poi la melodia risulta essere più gradevole se suonata proprio al rovescio, come se il diavolo, fedele alla sua natura tentatrice, invogliasse il malcapitato suonatore a liberarlo. Studi effettuati dalla dott.ssa Briccarello hanno rilevato che il pentagramma, tramite un sistema di cifratura che trasforma le note in lettere, rivelerebbe le tre parole: Dio, Fede, Abbazia. Sicuramente in tema con l’argomento, ma che non basterebbero a portarci alla soluzione di questo mistero. 

E ci ritroviamo lì, nella chiesetta ricolma di detriti, a fissare quello spartito nella speranza di trarre una conclusione, di dare risposte a una storia affascinante al quale un finale non è ancora stato scritto. Forse però stavamo solo cercando nel posto sbagliato. Con un breve sguardo conveniamo sul fatto che dobbiamo spostarci dove tutto ebbe inizio: nel cimitero abbandonato di Darola. Nella casa di Lucifero edificata nel XVI secolo, poco distante da Lucedio, si può notare una certa assonanza. Occorre uno sguardo attento per scorgere l’entrata dalla strada, quasi totalmente avvolta dalla vegetazione. 

L’aspetto è spettrale, l’aura sinistra, non invoglia di certo a varcare la sua soglia. Fra queste quattro mura si dice siano stati compiuti riti sinistri, come la sabba, nel gergo medievale una riunione di streghe che celebravano il diavolo fra magie e cerimonie orgiastiche. Che forse vengono svolte ancora ai giorni nostri. Superiamo il cancello in ferro battuto oramai arrugginito e ci facciamo strada fra l’erba alta, rovi e arbusti che rendono difficile l’avanzata, a fatica arriviamo sino alla piccola cappella alla fine del cimitero, anch’essa purtroppo totalmente vandalizzata. 

Attorno a noi tombe e lapidi distrutte, scritte blasfeme sui muri, degrado ovunque, il camposanto dev’esser stato lasciato alla totale incuria oramai da tempo immemore, i motivi ufficiali sono tutt’ora ignoti. 

Tutti in quel momento concordammo sul fatto che l’aria in quel luogo era molto pesante, un’atmosfera di negatività che forse per la suggestione o forse per altro ci ha spinto a prendere la saggia decisione che dovevamo andarcene al più presto da lì, che non era il caso rimanere un minuto di più. Prima però lo sguardo si è inevitabilmente posato su un’effigie che racconta la storia di due gemelline venute prematuramente a mancare “compito appena il terzo lustro dell’età” e di cui il padre piange la scomparsa. La data reca anno 1868 e noi prima di andarcene non possiamo che rivolgere a loro il nostro pensiero. A chi invece ha profanato e distrutto questo posto va il mio più totale disprezzo per non aver avuto il benché minimo rispetto per un luogo sacro e per tutte le anime che qui vi riposano.

Ce ne sarebbe abbastanza per esser sazi e voler tornare a casa con la testa frastornata per l’incredibile quantità di mistero che ci siamo assorbiti in una sola mattinata. Ma non è il nostro stile. Basta una panissa ben fatta in una delle tante trattorie della zona dove veniamo osservati come dei forestieri, e poi siamo pronti per rimetterci in marcia perché in queste zone c’è ancora molto da vedere. Vi ricordate quando prima ho chiesto se Trino Vercellese vi diceva qualcosa? Qui è nata una delle 4 centrali nucleari d’Italia, attiva sino a quando non entrò in vigore il referendum del 1987 che, con ancora lo spettro di Chernobyl nella mente, decretò la fine del nucleare in Italia. La cosa curiosa è che cercando delle informazioni sul web a riguardo di questa centrale, spesso vi imbattereste in un clamoroso scambio di “persona”. Infatti se digitate “centrale nucleare di Trino Vercellese” su Google e poi guardate su “immagini”, almeno la metà di quelle che vi appariranno sono sbagliate! Da un lato abbiamo la vera centrale nucleare Enrico Fermi, costruita nel 1964 e situata sul territorio di Trino Vercellese, piuttosto anonima nella struttura, ancora al giorno d’oggi attiva per quanto riguarda il compito di mantenere in sicurezza l’impianto nell’attuale fase di smantellamento. Avrete sentito anche voi a qualche Tg che in Italia nessun politico ha una risposta su dove mettere le scorie radioattive. Dall’altra parte abbiamo la centrale termoelettrica Galileo Ferraris posta nella confinante frazione di Leri Cavour, suggestiva e ben visibile anche da lontano per le due torri di raffreddamento praticamente identiche a quelle della centrale nucleare di Springfield, senza però Homer Simpson in sala di controllo. 



La particolarità è dovuta al fatto che questa originariamente avrebbe dovuto essere la quinta centrale nucleare italiana, riconvertita poi in corso d’opera a causa del famoso referendum. Si dovrà pensare ad un’ennesima riqualificazione, perché anch’essa è ferma oramai da quasi un decennio, sarebbe un peccato farla diventare l’ennesimo luogo abbandonato della zona.

Ora salutiamo questi luoghi con una frase che ho trovato sul web e che rende perfettamente l'idea:  uno storico inglese che visitò le terre di Lucedio all’inizio del XIII secolo, descrisse così il luogo: ”la vista di un impiccato, appeso al ramo di un’albero che si intravede nelle nebbie della palude, non guasterebbe di certo il paesaggio”.

E non finisce qui, spostandoci nel capoluogo di provincia Vercelli incontriamo subito all'ingresso della città il prossimo nostro luogo d'interesse. Non è casuale questo elemento della periferia, in quanto le urla in centro città non dovevano essere sentite. Qui vi è il fantasma più grosso di tutto il racconto, l'ex ospedale psichiatrico di Vercelli, il manicomio abbandonato. Per le informazioni storiche sui manicomi in Italia vale quanto ho riportato in un articolo del sito sul manicomio di Mombello, in questa occasione mi soffermerò su alcuni elementi particolari che contraddistinguono unicamente questa struttura. Qui sul finire della Seconda Guerra Mondiale si consumò un eccidio, quello perpetuato dai partigiani ai danni di alcuni membri della Repubblica Sociale Italiana. Furono uccisi nei modi più cruenti, fra i corridoi, le stanze e i cortili dell’immensa struttura. In tutto trovarono la morte una cinquantina di persone. Come diceva anche De Gregori in una canzone, sangue su sangue non macchia, va subito via, tutte le stragi e il dolore che viene proposto ai nostri occhi ci porta quasi a essere assuefatti alla violenza, a considerarla una cosa normale, quando invece in qualsiasi forma rimane una cosa terribile. Tornando all’ospedale psichiatrico, conta in tutto 20 padiglioni, una città nella città in pratica. Meritano una menzione la chiesa oramai quasi totalmente distrutta, il teatro vittima di un misterioso incendio e una porzione di padiglione dove si trova un archivio di stato, come se fosse una buona idea lasciare in stato di abbandono atti, verbali, documenti che riguardano la nostra storia. 



Un’altra curiosità, tutti i padiglioni hanno un proprio seminterrato, si dice che proprio a pochi metri sotto terra, come a voler nascondersi, venissero praticate le terribili “cure” psichiatriche dell’epoca, quali lobotomie ed elettroshock. La cosa sinceramente non ha importanza, che fossero svolte in un locale o nell’altro non è comunque messo in dubbio il fatto che realmente qualcuno le abbia subite, in nome di una medicina e di un passato che ora si tende a dimenticare o a bollare come un inevitabile incidente di percorso verso il progresso in campo medico, scientifico e tecnologico. La chiosa di questo lungo post è affidata ad una riflessione di Franco Basaglia, ispiratore della legge con cui furono chiusi per sempre questi luoghi: una società, per essere civile, deve essere razionale. Ecco perché tutto ciò che è irrazionale deve essere controllato dalla ragione. È così che nasce l'istituzione razionale del manicomio, che racchiude l'irrazionalità. Una persona folle diventa nuovamente razionale nel momento in cui è internata in manicomio.





BIBLIOGRAFIA e APPROFONDIMENTI:


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