Ex Manicomio di Mombello - Ospedale Psichiatrico G.Antonini
"Lasciate ogni speranza o voi che entrate", citare Dante mi viene naturale quando si varca la suggestiva cancellata che sembra portarci in un'altra dimensione, lasciando alle spalle il mondo reale.
Trovarsi sul set di un film dell'orrore a pochi chilometri da Milano è possibile, basta metter piede all'ex manicomio di Mombello, frazione di Limbiate, l'ospedale psichiatrico G.Antonini che come tutti i nosocomi dedicati alla cura delle persone con problemi psichiatrici (presunti e non) fu costretto alla chiusura dalla legge Basaglia del 1978. In realtà l'immensa struttura (12 padiglioni per più di 3000 pazienti ospitati nel periodo di massima espansione) è rimasta attiva sino al 1999, data della definitiva dismissione. Divenuto famoso nel corso degli anni come uno dei 10 luoghi più inquietanti del mondo, il manicomio non fa proprio nulla per smentire la sua fama; porte blindate, vetri rotti, soffitti crollati, cartelle cliniche la fanno da padrone durante la visita. Il tutto accompagnato da un inquietante silenzio rotto solo dagli urban explorer che setacciano ogni singolo anfratto alla ricerca di uno scatto suggestivo, misto alla curiosità e al mistero che questo luogo abbandonato immancabilmente suscita. I più temerari si addentrano addirittura nei sotterranei della labirintica struttura che - come fossero dei bunker - uniscono gran parte dei padiglioni.
Camminando fra lunghi e cupi corridoi viene da pensare che i produttori del videogioco caposaldo del genere horror "Silent Hill" si siano ispirati a questo luogo nella creazione del noto franchise. Persino Johnny Deep non è riuscito a resistere al suo fascino, volendo girare proprio in questa struttura alcune scene del suo ultimo film e concedendosi una breve visita. Inoltre, come tutti i luoghi spettrali che si rispettino, custodisce gelosamente il proprio mistero; in uno dei vari padiglioni divisi dai lunghi viali alberati che formano le ramificazioni di questo colosso fra i manicomi d'Italia fu rinchiuso il figlio segreto di Mussolini, tal Benito Albino, morto fra l'anonimato nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, correva l'anno 1942. Aveva 26 anni e da 2 si trovava rinchiuso da sano in questa struttura, finendo poi per trovare la morte per cause misteriose e tuttora non conosciute. La madre, amante di Benito, trovò la stessa fine in un altro ospedale psichiatrico. Come lui in quell'epoca giovani e vecchi con problemi psichiatrici o altre volte con la sola colpa di essere più libertini, irascibili, lunatici, madri snaturate ecc... trovavano la loro condanna in queste strutture dove lobotomie ed elettroshock erano la norma, in un escalation dell'orrore che venne quasi ovunque del tutto abbandonata solo negli anni ottanta. "Ma io non ci sto più e i pazzi siete voi", recitano così le parole di una nota canzone, adesso siamo noi che diamo dei pazzi ai medici dell'epoca che praticavano queste terapie terribili sui malcapitati pazienti, come se la loro patologia (nei casi in cui era tale) doveva essere rinchiusa, anziché curata. All'epoca non era così, nella storia il termine pazzia ha sempre avuto differenti sfumature. Negli antichi greci era vista come punizione degli Dei, nel Medioevo bollata come eresia, poi fino almeno all'inizio del 1800 la pazzia doveva essere confinata in prigionia e basta. Solo successivamente si iniziò a curarla, ma con metodi che poi abbiamo scoperto esser più folli della pazzia stessa. In questo triste quadro una menzione d'onore va al professor (nonché direttore) Antonini, che nel contesto dei primi decenni del Novecento tentò di rivoluzionare le condizioni di questo luogo affiancando alle tradizionali terapie l'uso della musica e dell'arte. Come ringraziamento per questo tentativo di umanizzazione la struttura prese in seguito il suo nome.
Mi pare doveroso soffermarsi a trattare il tema delle cartelle cliniche e radiografie sparse alla mercé di tutti in più stanze, centinaia di documenti personali di questa gente che forse meriterebbe un po' di tranquillità almeno ora che è giunta a un riposo e pace mai conosciuti in terra. In questi tempi in cui si sente parlare ovunque di privacy e riservatezza la cosa è francamente inaccettabile. Come inaccettabile resta il fatto che un immenso spazio del genere non venga riqualificato in breve tempo togliendolo al degrado, al vandalismo e chi più ne ha ne metta. Resta però un luogo dal fascino macabro che richiama ogni anno migliaia di curiosi e appassionati di fotografia, ed essendo pur io appassionato in questo campo preferisco ora far parlare le foto, in un assordante silenzio, lo stesso che si prova fra quelle mura. Senza far rumore provo ad immedesimarmi nell'ultima foto di questo racconto: una ragazza all'angolo di una stanza, di spalle, una mano sul muro e il capo chino, sullo sfondo una sequela di sorry in un rosso vivo, nel silenzio si possono ancora sentire.
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