Longobardi nel Parco di Castelseprio e le monache di Torba
Ci troviamo nel cuore della Valle Olona, in quella porzione di Lombardia che parte a sud di Varese e termina con l'industrializzato inizio della provincia milanese. Al centro di questo polmone verde, fra i suoi boschi, troviamo un bellissimo complesso, religioso? militare? Di sicuro sappiamo che l'intera zona è parco archeologico e l'Unesco non ha dovuto pensarci molto per decretarlo Patrimonio dell'Umanità.
La storia di questo luogo si perde nella notte dei tempi: nel V secolo d.c. i romani che controllano queste terre sono sempre più minacciati dai popoli barbarici. Data la posizione strategica decidono di costruire un complesso difensivo composto da mura e torri che potesse frenare la minaccia dei barbari. Ancora oggi sono perfettamente visibili i resti di queste mura e la torre di guardia, ora perfettamente inglobata nella struttura del monastero.
Il monastero è visitabile grazie ai volontari del FAI con una modica cifra che comprende la visita guidata. Nel 1977 la struttura in stato di totale abbandono viene donata al Fondo Ambientale Italiano che grazie al contributo dei suoi soci sparsi per l'Italia ci ha permesso di ammirarlo per com'è oggi. Torniamo però alla storia, eravamo rimasti ai tempi dei romani in cui nacquero le mura e la torre visibili qui sopra, al termine dell'epopea romana nella zona si insediò un gruppo di monache benedettine che decisero di costruirvi il proprio monastero. Siamo nell'VIII secolo e per sette lunghi secoli le religiose si occupano del monastero, costruendo una chiesa, quella di Santa Maria, affrescando con splendide opere tutto il complesso e ospitando pellegrini e viandanti all'interno di queste mura. Nel '400 però la situazione muta, le Benedettine improvvisamente abbandonano il monastero per trasferirsi altrove, probabilmente non doveva essere un luogo abbastanza sicuro per delle donne, abbastanza isolato dal resto degli insediamenti vicini rappresentava un bersaglio facile per i briganti dell'epoca. Fu così che da allora diventò un'azienda agricola, sino all'800, dopo di che ci si ricollega allo stato di abbandono che precede l'acquisizione da parte del FAI. Purtroppo proprio durante il periodo di proprietà dei contadini molte preziose opere sono andate perse per motivi "pratici" dell'adattamento del monastero da funzione religiosa a quella di azienda dedita all'agricoltura.
La visita guidata si snoda essenzialmente visitando il primo e il secondo piano della torre e l'attigua chiesa di Santa Maria. Il resto del monastero dove erano collocate le stanze delle monache non è attualmente visitabile, inoltre parte della struttura è stata adibita a ristorante e in altre stanze è possibile acquistare materiale turistico.
Il primo piano della torre purtroppo venne utilizzato dai contadini come cucina, ciò ha provocato la distruzione delle opere presenti, con l'eccezione di un incisione che rappresenta un Alpha e un Omega e una monaca con accanto la scritta "Casta Aliberga", probabilmente un nome longobardo. Ai tempi si pensa che le monache utilizzassero questo locale per le sepolture, in particolare esso conterrebbe la tomba di una badessa, magari proprio la longobarda Casta Aliberga che è splendidamente ritratta. Ma è il secondo piano a rivelarci le bellezze custodite nella roccaforte. Qui gli affreschi sono per la maggior parte in buono stato e si possono ammirare su tutte le pareti.
PARETE NORD: un mostro, si intravvede quello che potrebbe essere il volto di un leone, o di un drago, sotto si riesce a scorgere anche la zampa.
PARETE EST: il Cristo Pancreatore, tipica icona bizantina, affresco frequente in epoca paleocristiana.
PARETE OVEST : la più importante e iconica del monastero, ciò per cui è famoso. 8 monache, 3 di esse senza volto. Il numero che sdraiato rappresenta l'infinito, una sorta di incognito. Viene dopo la perfezione, il 7, il numero che riempie pagine della Bibbia, precede il 9, numero che sta a rappresentare una nuova nascita, un ritorno al numero uno. Le mani delle religiose sono disposte in posizione di preghiera, sembrerebbe nell'intento di recitare un rosario. Le ipotesi sulla mancanza dei lineamenti del viso si sono sprecate, la più banale è la perdita del colore a causa dell'umidità e dello scorrere del tempo. Peccato che il volto delle consorelle lì accanto si è perfettamente mantenuto negli anni e l'ovale è talmente lucido da far pensare che mai nessun pennello si sia posato sopra. Quando la spiegazione più razionale scricchiola si entra nel campo delle supposizioni e delle leggende. Una di essa narra che 3 monache durante la realizzazione degli affreschi fuggirono dal monastero. Bisogna premettere che la vita delle monache in quei tempi non era facile, chiuse fra le mura del monastero spesso non per scelta propria, perennemente in preghiera, non deve di certo stupire che molte volte si pensi alla soluzione della fuga per acquisire un'agognata libertà. Gli autori dell'affresco a quel punto lo lasciarono incompiuto, nell'attesa di essere completato con il volto di 3 nuove monache che sarebbero dovute arrivare di lì a poco nel convento. Destino vuole che nel frattempo come sapete il convento fu abbandonato e il ritratto rimase incompiuto, nell'attesa che l'anima delle defunte monache riesca a rientrare nel dipinto per completarlo e dare finalmente un volto a quei fantasmi. Ho il vizio però di analizzare le cose con senso critico; da sinistra a destra abbiamo: 3 monache senza volto, 3 monache di cui non possiamo sapere se avessero o no il volto per la mancanza dell'intonaco, poi abbiamo 1 monaca con il volto in discreto stato di conservazione (un occhio non si vede bene) e infine 1 monaca con il volto perfettamente nitido, come del resto i volti di altre figure nella stanza. Ad infittire il mistero il particolare sopra al volto "vuoto" di una monaca: due occhi e un naso proprio sopra la testa, sembra quasi la raffigurazione dell'anima della religiosa nell'attimo in cui esce dal corpo. Morale della favola, non sapremo mai cosa l'autore avesse voluto dirci con la propria opera, e il mistero rimane.
La visita è poi proseguita presso l'adiacente chiesa di Santa Maria. E' subito curioso notare come accanto all'ingresso principale vi è una grossa entrata ad arco ora murata. I simpatici contadini, che come sappiamo hanno occupato per lungo periodo il monastero, pensarono bene di utilizzare la chiesetta come deposito per i vari attrezzi agricoli.
La datazione è fra l'VIII e il XIII secodo d.c., nell'unica navata di cui è composta balza subito all'occhio una figura demoniaca, purtroppo visibile solo dal busto in giù a causa della cattiva conservazione dell'affresco. C'è poi un volto con sopra la scritta Kim, che non è riconducibile al noto leader nord-coreano, bensì alcuni la vedono come una rappresentazione della storia di Caino e Abele. Non saprei sbilanciarmi a riguardo, solitamente però le rappresentazioni di Caino sono contraddistinte dal nome latino Caym, quindi il mistero permane su cosa rappresentasse effettivamente il disegno, anche perché purtroppo anche in questo caso è l'unica parte ancora visibile ai giorni nostri. Inquietante però notare che accanto al volto ed alla scritta compare una mano dalle dita alquanto affusolate: il mistero permane.
Inoltre è possibile vedere con i propri occhi i resti di alcune tombe, ma ancor di più una cripta, visitabile scendendo una scalinata, una al lato sinistro e una al lato destro, fino a giungere in un piccolo antro. Impossibile non notare al centro una pietra molto particolare, alta una quarantina di centimetri, di forma rettangolare e con una cavità ovale proprio al centro di essa. In passato alcune pietre sacrificali avevano proprio queste sembianze, e tenendo conto della storia secolare di questo luogo è una teoria da non scartare. Certo, è possibile formulare altre ipotesi; essendoci altre pietre di varie forma sparse per la stanza potrebbe essere semplicemente una roccia lavorata e poi utilizzata per la costruzione che poi si è staccata, oppure una sorta di rudimentale attrezzo agricolo, dalla funzione atta a "pigiare" un qualche prodotto.
Lasciamo ora la chiesa e il monastero per spostarci alcune centinaia di metri più a nord, in leggera salita per raggiungere il castrum medievale longobardo di Castelseprio. Nel momento in cui vi scrivo questo articolo non è possibile raggiungere il sito archeologico da Torba a piedi, in quanto il sentiero che permetterebbe ciò non è stato ancora totalmente creato e messo in sicurezza. Ma niente paura, occorre solo fare qualche km in automobile per ritrovarsi fra gli antichi resti di quella che all'epoca doveva apparire come una vera e proprio cittadella fortificata. L'eccitazione si spegne però poco dopo, perché sebbene il luogo abbia un'importanza storica e archeologica di inestimabile valore, i resti sono dei ruderi che lasciano intatte solo le fondamenta e i perimetri di mura, che si innalzano ancora fiere mostrando le proprie pietre dell'altezza di qualche metro perfettamente incastonate l'una con l'altra. Un tempo qui sorgeva un ponte che permetteva l'accesso al complesso, almeno due torri d'avvistamento, il castello, una decina di edifici, una chiesa. Tutto il complesso è databile a partire dal IV secolo D.c. ed è ora sotto la tutela del Ministero per i Beni Culturali, visitabile gratuitamente. Sarebbe già molto quello che ci può offrire questa straordinaria zona, che ha solo la colpa come molte altre realtà italiane di non essere pubblicizzata a dovere, ma non finisce qui. Ricorrendo ancora all'analogia con un libro di Dan Brown, si può affermare che i misteri sono sempre le cose più visibili, ma allo stesso tempo più nascoste. Basta salire qualche metro sopra la collina per ritrovarsi davanti una costruzione che potrebbe essere tranquillamente definita un OOPART, acronimo di Out Of Place ARTifacts, ovvero oggetti fuori dal tempo, che non ci si spiega come potessero essere lì in quel posto e in un determinato periodo storico, ad esempio come una lampada al tempo degli egizi, esempio non tirato fuori per caso.
BIBLIOGRAFIA E APPROFONDIMENTI:
Nel 1944 in un'Italia devastata dalla guerra lo storico Bognetti, poi sepolto proprio in questo luogo , fece un'eccezionale scoperta. Partendo dal castrum imboccò il sentiero che sulla destra si inerpica per qualche centinaia di metri in salita, circondato dalla vegetazione, fino a raggiungere sulla cima della collinetta una costruzione a pianta rettangolare posta in posizione dominante sul complesso ai suoi piedi, Santa Maria Foris Portas . Entrò in una chiesa ridotta nello stato di semi-abbandono e scoprì nell'abside principale una serie di dipinti molto particolari. Raffiguravano scene della vita di Gesù secondo quelli che sono comunemente definiti "Vangeli apocrifi". Facciamo un passo indietro: cosa sono questi vangeli apocrifi? Con questo termine ci si riferisce ad un vasto numero di testi o raffigurazioni di carattere religioso che trattano la vita di Gesù discostandosi dai canoni ufficiali presenti nella Bibbia cristiana. A volte integrandola mentre altre addirittura contraddicendola. Sono quattro i misteri principali da analizzare riferiti alla chiesa e ai relativi affreschi: 1) riuscire a dare loro una datazione storica precisa; 2) capire chi ha commissionato la realizzazione di queste opere; 3) cercare indizi che ci portino al suo autore materiale e quali siano le sue origini ; 4) provare a dare un significato alle scene raffigurate tratte dai vangeli apocrifi.
1) Come recita il cartellone informativo all’esterno della chiesa la datazione è incerta, (VI – X secolo) “quasi meteora caduta da cieli remoti” citando il suo scopritore. Altri storici provano a collocarla fra il VII e l’VIII secolo, altri addirittura allargano la forbice fra il V e il IX secolo. Una differenza non da poco, considerando che si sta parlando di lunghi secoli, comunque compatibile con il periodo di dominazione longobarda in Italia (VI – VIII secolo). Sorge però un problema: com’è possibile che in un complesso longobardo, in un periodo in cui i longobardi stanziavano nella zona, furono realizzati dei dipinti di chiara ispirazione d’arte Bizantina? Fra questi due popoli non correva certo buon sangue, non basterebbero le dita di due mani per elencare tutte le loro guerre. Che sia stato un prigioniero che nelle lunghe ore di isolamento prese a disegnare queste opere? Un viandante nei rari periodi di tregue fra le due popolazioni? Una possibile soluzione ci viene proposta da alcuni studiosi che datano le opere in un’epoca successiva, ai tempi del Sacro Romano Impero attorno all’anno mille, periodo in cui a livello europeo si riscoprì l’arte bizantina. Per fare un esempio è come se ai tempi nostri si riprendesse la moda degli anni ‘70 dei pantaloni a zampa d’elefante, l’importanza e la bellezza del prodotto/opera rimarrebbe intatta, solo che non sarebbe originaria del periodo in cui è nata bensì di un periodo successivo in cui fu riscoperta. La teoria è spiegata dettaglia tamente in un libro dal nome “Castelseprio e Torba. Sintesi delle ricerche e aggiornamenti”, anticipato da un articolo di Varese News.
2) Sempre sul pannello informativo posto all’esterno della chiesa vi è un elemento che fa sorridere. Ci viene detto che il committente dell’opera viene visto nella figura di un nobile, questo escluderebbe i contadini, insomma non ci è di grande aiuto, hanno voluto sbrigare la questione velocemente liquidandola con una generica frase politically correct. Ovviamente il possibile committente varia a seconda della datazione di chiesa e dipinti, trattata al punto 1. Siamo nel campo delle ipotesi, e la più accreditata vede la figura del conte del Seprio come promotore dell’idea di realizzare quei particolari dipinti, che poi sarebbero diventati fra le testimonianze pittoriche più importanti dell’Alto Medioevo. Saremmo in questo caso nel IX secolo, la cosa si sposerebbe anche con gli elementi carolingi presenti nell’edificio religioso. In ogni modo chiunque abbia commissionato quelle opere ha voluto mandare un messaggio molto preciso, schierandosi contro la visione longobarda del tempo, detta ariana (dal vescovo Ario che la tramandò) , che metteva in secondo piano la figura di Gesù rispetto a Dio, teoria vista da molti alla stregua di eresia. Da qui la raffigurazione del cristo Pantocratore (presente anche nel monastero di Torba come indicato prima) a sottolineare la natura divina di Cristo.
3) Chiunque sia stato l’autore non si può dire che non avesse coraggio. In tempi in cui le streghe venivano messe al rogo e chiunque si discostasse dal credo canonico veniva bollato come eretico, proporre delle simili raffigurazione poteva essere quantomeno rischioso. Non ci sono documenti scritti che ci aiutano ad identificarlo, probabilmente veniva dall’Oriente, ai tempi delle lotte iconoclaste (in breve la condanna dell'idolatria verso le icone religiose) , di sicuro sappiamo due cose, il padroneggiare perfettamente l’arte bizantina e l’essere un eccellente artista. Facendo un po’ di ironia possiamo affermare che fu uno dei primi immigrati in cerca di lavoro, visto che nella sua terra natia le icone erano oramai proibite.
4) Ricollegandoci all’Oriente passiamo all’ultimo punto, che è anche il più importante. Il ciclo pittorico è la riproposizione di alcuni testi dei vangeli apocrifi di Giacomo, nello specifico il suo protovangelo, cui la prima parte proto- dal greco significa prima, antecedente, in questo contesto è il vangelo che narra principalmente l’infanzia di Gesù, oltre che raccontarci qualcosa di più sulla figura di Maria e sulla natività. Di questo vangelo nella Bibbia non vi è traccia. Nonostante ciò già ai tempi era ben visto e accettato in molti ambienti cristiani, soprattutto in Oriente, da cui come detto prima probabilmente arrivava l’autore. Un altro elemento di questo vangelo è la scrittura, in greco. Ora passiamoli in rassegna: si parte con “l’annunciazione”, ufficialmente trattata dal vangelo di Luca, che ci spiega come: Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». mentre nel protovangelo di Giacomo: Presa la brocca, uscì ad attingere acqua . Ed ecco una voce che diceva: «Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu tra le donne». Essa guardava intorno, a destra e a sinistra, donde venisse la voce. Tutta tremante se ne andò a casa, posò la brocca e, presa la porpora si sedette sul suo scranno e filava. Quindi ufficialmente l’annunciazione avvenne in casa, qui invece all’esterno. Si prosegue con la “ Visitazione”, purtroppo fortemente danneggiata e quindi non perfettamente analizzabile.![]()
Pochi dubbi invece sul prossimo affresco, la “prova della acque amare”. Di questa scena nei vangeli canonici non vi è traccia! Sempre tratto dal vangelo apocrifo di Giacomo: Il sacerdote disse: «Restituisci la vergine che hai ricevuto dal tempio del Signore». Giuseppe versò allora calde lacrime. Il sacerdote proseguì: «Vi darò da bere l'acqua della prova del Signore che manifesterà ai vostri occhi i vostri peccati». E presala, il sacerdote la fece bere a Giuseppe e lo mandò verso la collina: e tornò poi sano e salvo. La fece bere anche a Maria e la mandò verso la collina: e tornò sana e salva. E tutto il popolo si stupì che non fosse apparso in loro alcun peccato. Disse allora il sacerdote: «Il Signore non ha manifestato i vostri peccati. Neppure io vi giudico». E li rimandò. Giuseppe riprese Maria e tornò pieno di gioia a casa sua glorificando il Dio di Israele. Questa veniva comunemente definita ordalia, una prova di origine medievale che doveva stabilire l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato. Maria conosciuta come Vergine ebbe una gravidanza, i sacerdoti del tempio le fecero bere dell’acqua sacra che avrebbe emesso giudizio divino su di lei, rendendola deforme in caso di menzogna . Maria asseriva il vero e nulla successe al suo corpo. La pittura seguente è il “sogno di Giuseppe”, se siete stati anche solo una volta alla messa di Natale lo conoscerete, un breve inciso recita: “ Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto ”, dal Vangelo di Matteo, ripreso però anche da Giacomo. Al centro di queste scene un grosso cristo Pantocratore simile a quello di Torba.
Segue poi “il viaggio verso Betlemme” in cui vediamo un Giuseppe anziano, che si sostiene con un bastone, seguire Maria in sella ad un asino. Vediamo anche una gamba davanti a Maria, poi purtroppo il resto è intonaco crollato. Si suppone che l’asino sia trainato da un figlio di Giuseppe, come recita il Vangelo aprocrifo di Giacomo, che come detto prima era in gran parte accettato dalla chiesa cristiana in Oriente. Questa precisazione è importante, perché ancor oggi il credo Cristiano Ortodosso crede che ci siano dei fratelli di Gesù, come citano i vangeli, mentre quella Cristiano Cattolica nega questo fatto asserendo che essi fossero cugini. In quel periodo tradizionalmente l’età in cui si aveva il primo figlio era di circa 14 anni per le donne e 18 per gli uomini, questa rappresentazione di Giuseppe nei vangeli apocrifi come anziano e di una Maria invece giovane poteva stare a significare il ruolo di “tutore” di Giuseppe, più che quello di marito, un custode della verginità di Maria. Il risultato è che di fronte al silenzio della Bibbia sull’argomento ce lo ritroviamo rappresentato a volte giovane, come suggerirebbero i vangeli canonici e i custodi delle fede e talune volte anziano, come narrato dai vangeli apocrifi.
Ma proseguiamo senza prender fiato per trovarci di fronte la “natività”, quasi un mosaico, un puzzle di rappresentazioni ed elementi ravvicinati da ammirare con stupore a bocca spalancata. Facciamo finta di disegnare un quadrato con al centro una croce, nello spazio in alto a sinistra abbiamo Maria dopo il parto nella grotta, assistita dalla figura di Salomé, levatrice presente solo nei vangeli apocrifi, in una scena che verrà indicata da molti come il primo miracolo di Gesù. Si narra che ella non fosse convinta della verginità di Maria e che volle constatare con mano la veridicità della cosa, a quel punto successe qualcosa simile a una punizione divina quando per la sua malfidenza perse l’uso degli arti inferiori, ma la Madonna mossa a compassione portando il bimbo nelle sue mani glielo fece miracolosamente riacquistare. Appena sotto vi è una scena in cui due donne lavano e prestano le prime cure a Gesù neonato, non vi è traccia di questa scena in nessun Vangelo visto che si era supposto sinora che Maria fece tutto da sola con l’aiuto di Giuseppe. Sopra a destra si vedono il bue e l’asinello, un must per tutti i presepi cristiani cattolici, resterete delusi nel sapere che la chiesa per mezzo dei vangeli canonici e nella Bibbia non cita mai questi due animali, è anche in questo caso un’ aggiunta dei vangeli apocrifi, diventata poi universalmente accettata come vera. Persino il Papa in un suo libro ci dice che nella grotta dove nacque Gesù non vi erano né il bue né l’asinello. Ve lo immaginate però un presepe senza queste due figure? Io personalmente no. Sotto a destra infine completa il mosaico la scena in cui degli angeli svegliano i pastori annunciando loro la nascita di Cristo, tratta dal Vangelo di Luca, e per una volta non menzionata da nessun vangelo apocrifo.
Arriva poi il momento di introdurre altre 3 figure storiche del presepe, quelle dei magi, ritratti nell’adorazione. La differenza fra protovangelo di Giacomo e vangelo di Matteo in questo caso sta nell’ubicazione della scena, il primo indica una grotta mentre il secondo una casa. L’affresco non chiarisce del tutto questo aspetto ma propenderei sul fatto che l’autore abbia continuato nella tutto sommato fedele riproduzione del vangelo dell’infanzia, l’elemento chiave potrebbe essere quell’albero che si vede sullo sfondo, segno che ci potrebbe far dire che la scena si sia svolta all’aperto. Inoltre i tre magi, che portano, qui tutti sono d’accordo, i tre doni oro, incenso e mirra, sembrano su una superficie frastagliata, come se stessero camminando su rocce o comunque un terreno vallonato. Nel vangelo di Luca viene altresì indicata una stalla anziché la grotta come luogo della natività e, nell’ipotesi poi che la venuta dei Magi sia avvenuta in questo stesso luogo, la cosa può essere spiegata con il fatto che al tempo in Palestina piccole grotte o insenature erano la prosecuzione naturale delle costruzioni in muratura e venivano per l’appunto utilizzate come dispense o stalle. Il ciclo pittorico giunge alla fine con “la presentazione al tempio” in cui vediamo Maria porgere Gesù fra le mani di Simeone, vecchio sacerdote del tempio di Gerusalemme. Si conclude così questo lungo articolo, il mio consiglio è quello di fare un bel picnic sul vasto prato antistante il monastero appena il sole dell’Inverno perderà la timidezza, avrete così la sensazione di avere sotto ai vostri piedi un patrimonio perduto ancora da scoprire.
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